«I riflessi della Brexit vanno oltre i confini britannici ed europei, anche per effetto delle ricadute che avrà sull’economia e sulla finanza islamica». Esordisce così l’avvocato Federica Costa, già rappresentante nazionale della Camera di Commercio Italiana negli Emirati Arabi, che prosegue: «Nell’ultimo decennio, Londra si è affermata come la più importante piazza europea per la finanza islamica ed è un punto di riferimento per numerose banche internazionali: sede di 60 istituzioni offerenti prodotti e servizi Shariah-compliant, oltre che di società di consulenza legale con dipartimenti ivi specializzati e 22 Università con programmi di laurea specializzati in finanza islamica».
Il Regno Unito è stato il primo Paese europeo nel 2014 ad emettere un sukuk sovrano.
Da anni Oltremanica è stato creato un ambiente legale e fiscale favorevole ad accomodare le esigenze della finanza islamica, ben accordandosi alla Sharja. Il governo inglese avviò, già dal 2003,una serie di attività finanziarie volte a rimuovere le cosiddette Tax Barriers, che rendevano i prodotti islamici, largamente intesi, meno competitivi rispetto alle relative controparti convenzionali – occidentali: le riforme introdussero cambiamenti volti a garantire un mercato attraente per i capitali mediorientali.
D: Come è stata accolta negli anni quest’apertura del governo inglese?
R: Molti investitori mediorientali hanno individuato nel Regno Unito e nella finanza islamica qui concretizzata, la combinazione ideale per accedere al mercato europeo: le istituzioni finanziarie londinesi potevano godere della direttiva del Passporting ed “esportare” prodotti e servizi finanziari Shariah-compliant nei Paese dell’Ue. Inoltre gran parte del patrimonio immobiliare della City appartiene, ad oggi, ad investitori arabi e del sud est asiatico, molti dei quali, compliant con la finanza islamica.
D: E con la Brexit?
R: È presto per tirarne le somme ma l’uscita dell’Uk dalla Ue parrebbe aver posto le condizioni per sottrarre a Londra lo scettro di piazza finanziaria di riferimento poiché i principali operatori internazionali perderanno il passaporto europeo e dovranno trasferire le proprie sedi operative dalla City all’interno dell’Ue. Lo stesso mercato immobiliare londinese ha già dato segnali di forte preoccupazione. Certo, tutto dipenderà dai negoziati che stanno per partire tra Londra e Bruxelles.
D: L’ambizione londinese di divenire Hub mondiale della finanza islamica rischia quindi di ridimensionarsi?
R: Le banche del GCC, i cui membri sono Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar, che hanno da anni una grande copertura nell’industria finanziaria britannica grazie alle filiali insediatisi, quali Qatar Islamic Bank, Alburaq Bank, Mashreq, Abu Dhabi Islamic Bank, già dallo scorso referendum hanno ipotizzato una delocalizzazione su altre città europee; come del resto anche le maggiori banche convenzionali come JP Morgan, Goldman Sachs, Bank of America, Citigroup e Morgan Stanley. Parimenti le istituzioni finanziarie islamiche, che vorrebbero un accesso preferenziale al mercato europeo Shariah-compliant, guardando al richiamo finanziario islamico in Francia e Germania.
D: C’è qualche speranza per l’Italia?
R: Milano sta lavorando per accogliere le istituzioni e le imprese finanziarie europee, anche islamiche, in uscita da Londra, posto che la finanza Sharja-compliant non è incompatibile con la normativa italiana già esistente. Più in generale c’è però da dire che l’Ue è oggi troppo articolata per trovare un’alternativa agile a Londra: i vari Paesi dell’Unione dovrebbero forse organizzarsi in un network quale rete sinergica metropolitana.
D: Non è facile quindi togliere lo scettro della finanza islamica a Londra?
R: In tale contesto nebuloso, la Brexit potrebbe giovare in realtà alla stessa Londra, il cui obiettivo è proprio quello di diventare un porto franco in grado di catalizzare miliardari dal mondo -e dunque finanza cinese ed islamica-, favorire il fin-tech ed il trading delle energie pulite: un centro off-shore collegato alle capitali d’Europa.